sabato 16 gennaio 2010

Per La Serie "Siamo Malvagi"

Morte

Un' immensa pianura si stagliava ai piedi della collina su cui mi trovavo. Era schierato un esercito che avrà contato centomila unità e di fronte ad esso c'era un solo uomo. Solo silenzio si poteva udire. Il vento scompigliava i capelli di quel uomo solitario, vestito di un armatura vermiglia. Passarono ore prima che si potesse percepire il minimo movimento, tutto era immobile, le gocce di sudore sui visi dei soldati brillavano al sole e l'odore della paura si sentiva a chilometri di distanza.

Un urlo inumano, che sembrava venuto dalle profondità degli abissi, che pareva uscito dalla gola della creatura più immonda mai immaginata da essere umano, che risultava insopportabile e insostenibile per ogni orecchio, ruppe il silenzio e l'uomo solitario brandendo la sua ascia iniziò a correre verso il suo nemico. L'esercito restò immobile terrorizzato da una tale furia, aspettando di incassare la carica di quell'animale impazzito.

Una cacofonia di rumori metallici e urla di dolore regnava ora in tutta la valle. L'armatura rossa si scorgeva in mezzo all'esercito e dietro al suo passaggio restava solo una moltitudine di cadaveri smembrati, niente si muoveva più.

Ero rimasto rapito dal massacro a cui stavo assistendo e il tempo sembrò passare rapidamente come se fosse successo tutto in un attimo: terminato lo scontro l'unico ad essere rimasto in piedi fu il cavaliere solitario. Ora era di nuovo immobile con lo sguardo fisso verso l'orizzonte, resto così per alcuni minuti, poi si incamminò senza voltarsi, come se non fosse accaduto nulla.

Alla vista di una tale carneficina capì che non aveva solo maciullato i loro corpi ma aveva anche stuprato le loro anime.


giovedì 7 gennaio 2010

Metrack

Il sole sta incominciando a sorgere.

I primi raggi superano la coltre di nebbia e il cielo inizia a colorarsi di azzurro. Tutto ciò che mi circonda inizia a diventare di un colore acceso.

I rumori sono ovattati, ovunque regna il silenzio. Il suono dei miei passi si disperde nel quartiere ancora addormentato.

Solo i netturbini sono già all'opera, il loro riposo arriverà più tardi.

Sono le 5, il treno arriverà alle 5 e 15.

Mi avvicino alla biglietteria automatica: silenziosa inghiotte i miei soldi e tra mille suoni meccanici espelle il suo biglietto. Oblitero il prodotto della meraviglia della tecnologia e mi avvio verso il sottopassaggio.

Questo luogo, perennemente illuminato con luce artificiale, porta sulle sue pareti testimonianze di migliaia di persone: alcune sono volgarità, altre sono opere d'arte. Ci sono messaggi d'amore e semplici ricordi di vacanze passate.

Esco di nuovo all'aria aperta e mi siedo sulla panchina destinata al riposo dell'eterno viaggiatore.

Dopo un attento esame dell'orologio e una riflessione sulla fama delle ferrovie, decido che ho tutto il tempo di fumarmi una sigaretta. Il fumo azzurrognolo sale lento e disegna curve sulla sua scia.

Vedo uscire dal sottopassaggio una signora con due borsoni, avrà 50 anni passati e una vita dietro a una scrivania ha lasciato i suoi segni. Si siede accanto a me, mi osserva e poi mi osa domandare: “e' già passato il treno?”. Vorrei risponderle che se fosse passato non sarei qua ad aspettarlo ma ci sarei sopra, comunque opto per qualcosa di più educato: “no, signora, arriverà a minuti”. Faccio appena in tempo a finire la frase che una campanella inizia a suonare e una voce registrata annuncia l'arrivo del treno.

Mi alzo e mi allontano, cercando così di salire su una carrozza diversa da quella della signora. Non e' che disdegno la compagnia, ma c'è sicuramente un limite a tutto.

I vagoni sono praticamente vuoti, mi siedo vicino al finestrino e mentre il treno riprende la sua marcia osservo il quartiere che inizia a risvegliarsi.

Alla stazione successiva si siede di fronte a me una suora che subito mi interroga: “ figliolo che sguardo perplesso” “ scusi sorella è che adesso dovrò iniziare a lavorare”.

Un' esplosione interrompe la discussione, la suora inizia a urlare, il treno inizia a frenare e io ne approfitto per piantare una pallottola nella testa dell' impaurita serva di dio.

“ Glielo avevo detto che dovevo iniziare a lavorare, niente di personale”.

Le rotaie devono essere state distrutte, ho tutto il tempo di cui ho bisogno per trovare il presidente della Sniper & co. prima che arrivino i soccorsi. Dovrebbe trovarsi nella carrozza dopo la mia.

Sfondo la porta, ma subito mi si para davanti una guardia del corpo, un bestione di due metri.

Gli esplodo un colpo addosso che gli stacca di netto un braccio, ne fuoriesce solo uno schizzetto di sangue. Maledetti esseri plastovinilici.

Mi viene sotto, mi colpisce e mi ritrovo in fondo all'altra carrozza, mi fa male la mascella.

Mi rialzo, l'NPC mi corre incontro con il braccio che gli sta ricrescendo.

Devo cambiare software e iniettarmi il Metrack, il download del file per il corpo a corpo e' rapido, ma la soluzione muta genica non entra in circolo abbastanza velocemente e il gorilla mi ristende con un gancio.

Sputo sangue.

Barcollo.

Cado.

Ogni parte del corpo inizia a bruciare, la droga inizia a fare effetto.

Mi strappo il braccio destro che subito si rigenera. Con la mia nuova appendice mi taglio l'altro, anche questa perde la sua umanità.

Dagli occhi dell'NPC ora traspare disperazione, non pensava di trovarsi davanti un Dragger.

Cerca di fuggire, ma la lama sulla mia destra lo raggiunge e gli fa saltare via le gambe, gli sono sopra e con la mano sinistra gli artiglio il cuore. Adesso non riuscirà a rigenerarsi tanto facilmente.

Il rumore ha richiamato le altre guardie del corpo, mi trovo davanti due esseri umani, che visto chi hanno di fronte fuggono disperati.

Tre proiettili nella schiena obbligano uno fermarsi per riprendere fiato, non mi piace infierire, di solito, ma per inseguire l'altro gli spappolo la testa.

Quando raggiungo il fuggitivo lo blocco con la mano grondante ancora materia grigia, è troppo terrorizzato per opporre resistenza, risponde senza problemi alle mie domande, così decido di non farlo soffrire ulteriormente, un solo proiettile nella nuca.

Mi lascio alle spalle il massacro che ho compiuto: un NPC, due esseri umani e una suora, per lei non prenderò un soldo, ma mi andava di farlo.

Rannicchiato in mezzo ai sedili trovo Gregory Mc Lowan, piange, trema e ride. La paura ogni tanto fa strani effetti.

Lo guardo con disprezzo perché odio le persone che chiedono perdono, che non sanno morire con orgoglio.

Non ho la più pallida idea di cosa abbia fatto per essere stato condannato a morte, non faccio mai domande di questo genere, ma vedendolo penso che avrà sicuramente compiuto atti viscidi e schifosi.

Gli strappo gli occhi e la lingua, urla disperato, non ride più.

Gli taglio le braccia e le gambe, forse ho esagerato perché mi muore sul colpo.

Torno al mio posto e mi cambio i vestiti, l'effetto del Metrack finisce e torno normale.

Scendo dal treno e mi dirigo verso casa, avevo promesso a mia figlia di andarla a prendere a scuola.


mercoledì 6 gennaio 2010

Ciloom

Può succedere che a causa della pioggia le cartine di riserva, quelle messe in un cantone sicuro, si bagnino.

Può succedere che le cartine sparse per casa, a causa dell'umidità, si ritrovino inutilizzabili.

Può succedere, quindi, di ritrovarsi senza cartine, presi dallo sconforto di non potersi fumare tranquillamente una sigaretta.

Che fare? Come poter affrontare una simile calamità? Si sarà obbligati ad uscire nel gelido freddo invernale per andare in tabacchino ad acquistarne?

No, fortunatamente no, infatti in un angolino oscuro e pieno di polvere, ecco apparire la salvezza: un ciloom. Era da parecchio tempo che non lo usavo e nonostante l'abbia ignorato, lui arriva nel momento del bisogno.

Così, fumando, mi appresto a leggere un brano dello scribacchino chirghiso, dell'intramontabile poeta del nulla, del nomade delle lettere: Aligolok Barganov.

Questo brano si ritrova collocato nell'ultimissimo periodo, quello nel quale l'oramai novantenne pennaiolo non riusciva quasi più ad articolare verbo, ovvero quello detto “ ermetico”.

Dettami dotti datteri duttili