venerdì 3 aprile 2009

Old School

Rileggendo gli scritti passati mi sono accorto che ho parlato del mio vicino di casa senza descriverlo, la mia prof. di lettere mi avrebbe ripreso dicendomi che non bisogna mai dare nulla per scontato, infatti un possibile interlocutore potrebbe non conoscere i fatti o i personaggi citati, quindi bisogna sempre introdurli con un piccolo preludio.

Introduciamo, senza perderci in vacue divagazioni, il mio vicino di casa.

Ottuagenario uomo di nome Joseph, passa, ora che incominciano a risplendere i primi pallidi raggi di sole, le sue giornate su una panchina di fronte alla sua abitazione. Quando ritorno a casa, dopo il lavoro, lo trovo lì a crogiolarsi al sole.

Saluto con garbo, chi mi conosce potrebbe non crederci, ma assicuro che saluto.

Lui inizia a guardarmi, ci fissiamo negli occhi, senza dire nulla, sembra che io riesca a capire i suoi pensieri, la mia mente si fonde con la sua, le nostre percezioni percorrono eoni nella vastità di galassie e mondi perduti nelle profondità del tempo.

Ritorniamo alla realtà quando il vetusto panchinatore inizia, con suoni gutturali, rauchi e profondi che paiono arrivare dal più remoto spazio del suo rinsecchito corpo, ad aprire la bocca.

Quali sagge parole usciranno fuori, quali aforismi,quali proverbi o quali racconti sgorgheranno mai da quelle labbra screpolate.

Il gozzo vibra tra quella cacofonia umana, sono in trepidante attesa e il vecchio, infine, scattarra e mi saluta con un cenno della mano appena percepibile, che può essere interpretato in mille modi.

Sono arrivato a casa...
Ora non c'è....

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