Ieri notte ho riletto degli scritti del mio poeta preferito, Aligolok Barganov chirghiso di nascita e di morte, al che tra le sue opere più famose, sicuramente conosciute dai più, magari anche dai meno, ne ho trovata una che mi ha particolarmente colpito, sicuramente lo aveva fatto anche in precedenza, ma devo essermene dimenticato.
Una poesia di rara bellezza, con una metrica a dir poco affascinante, ricca di figure retoriche, che al momento ignoro come si chiamino, piena di pathos, piena di excursus, piena di humus.
Una poesia commovente, dirompente, estinguente, forse un poco forte, dai toni troppo bruschi e crudi, ma reale, senza iperbole o parabole, vissuta dall'autore stesso in un momento di debolezza.
Una poesia semplicemente umana che mostra la sofferenza dell'autore nei suoi gesti quotidiani e abitudinari, che rappresenta le sue difficoltà di vita, che illustra le sue frustrazioni, che addolora, persino, il lettore che se ne immedesima.
Una poesia intitolata: Vicissitudini
solo tra la folla
nessun viso amico
stranito tra stranieri
dove potrò andare
cosa potrò fare
chi mi potrà aiutare
lontano da casa
lontano da ciò che è mio
lontano dal riconoscibile
il fosso della solitudine
si riempie di nulla
che mi affoga nell'aria
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